LO SPORT DOVE LA POLITICA NON ARRIVA
Esattamente un secolo dopo l’inizio dell’emigrazione italiana, nel 1989, l’Italia si scopriva razzista. L’omicidio di Jerry Essan Masslo a Villa Literno ha segnato un punto di svolta nella concezione dell’Italia e degli italiani, passati dall’essere emigranti ad ospitare ogni anno migliaia di stranieri regolari e non.
29 milioni di persone tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il nostro Paese e ad oggi si stimano circa 80 milioni di oriundi italiani, con una maggiore concentrazione negli Stati Uniti d’ America (6%), in Brasile (13% della popolazione totale) ed Argentina (50%).
E secondo il dossier della Caritas Migrantes del 2011, in Italia sono presenti 5 milioni di stranieri, circa l’8% della popolazione. I minori figli di immigrati sono più di 1 milione. 650 mila sono i ragazzi di seconda generazione, nati sul territorio italiano ma senza cittadinanza.
La legge italiana prevede una naturalizzazione tramite lo ius sanguinis: chi ha almeno un antenato con cittadinanza italiana non rifiutata ha diritto a diventare cittadino italiano.
La nazionale azzurra di baseball è una delle tante che negli anni ha visto nel suo roster numerosi giocatori naturalizzati. Ma quanti nascono, frequentano le scuole e quindi crescono nella lingua e nella cultura italiana, al compimento del diciottesimo anno di età possono chiedere la cittadinanza, ma devono rispettare criteri molto restrittivi. Per questo ultimamente si parla di ius soli, l’ottenimento della cittadinanza alla nascita in una specifica nazione. È ora in discussione una legge di iniziativa popolare che, purtroppo, sta subendo forti ritardi anche per un acceso dibattito tra tutte le forze politiche.
Il baseball potrebbe essere un esempio per la politica e la società. Poco tempo fa si parlava di aprire completamente i roster ai bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri. Chissà quanti piccoli campioni si nascondono dietro l’etichetta di “cinese”, “africano”, “albanese” e non possono essere convocati in nazionale per un difetto della legge, troppo più grande di loro e di noi.
Per questo sogno, e spero di non essere l’unica, che la FIBS permetta a tutti i bambini nati e cresciuti in Italia, senza alcuna eccezione, non solo di vestire la casacca azzurra ma soprattutto di essere alla pari di qualsiasi altro ragazzo italiano. Sarebbe un gesto di fondamentale importanza per la società che potrebbe essere imitato da altre federazioni, per poi arrivare più velocemente alla legittimazione delle istituzioni.
In un mondo sempre più globalizzato i confini perdono gradualmente una definizione. Un grande esempio per tutti gli sportivi è Josefa Idem, pluricampionessa tedesca di canottaggio. Da diversi anni gareggia per la nazionale azzurra grazie al matrimonio con un italiano, vincendo Olimpiadi e Mondiali per il suo paese adottivo. Proprio riguardo alla sua naturalizzazione ha affermato: “La vera patria è avere un luogo dentro se stessi dove poter tornare”.
Lo sport non si deve limitare all’affermazione della supremazia di una nazionalità sull’altra, ma deve essere un diritto per tutti e soprattutto un momento di educazione alla convivenza nella società. E il baseball è sicuramente in grado di fare da pioniere per questa rivoluzione sportiva e sociale.
di Mara Mennella
29 milioni di persone tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il nostro Paese e ad oggi si stimano circa 80 milioni di oriundi italiani, con una maggiore concentrazione negli Stati Uniti d’ America (6%), in Brasile (13% della popolazione totale) ed Argentina (50%).
E secondo il dossier della Caritas Migrantes del 2011, in Italia sono presenti 5 milioni di stranieri, circa l’8% della popolazione. I minori figli di immigrati sono più di 1 milione. 650 mila sono i ragazzi di seconda generazione, nati sul territorio italiano ma senza cittadinanza.
La legge italiana prevede una naturalizzazione tramite lo ius sanguinis: chi ha almeno un antenato con cittadinanza italiana non rifiutata ha diritto a diventare cittadino italiano.
La nazionale azzurra di baseball è una delle tante che negli anni ha visto nel suo roster numerosi giocatori naturalizzati. Ma quanti nascono, frequentano le scuole e quindi crescono nella lingua e nella cultura italiana, al compimento del diciottesimo anno di età possono chiedere la cittadinanza, ma devono rispettare criteri molto restrittivi. Per questo ultimamente si parla di ius soli, l’ottenimento della cittadinanza alla nascita in una specifica nazione. È ora in discussione una legge di iniziativa popolare che, purtroppo, sta subendo forti ritardi anche per un acceso dibattito tra tutte le forze politiche.
Il baseball potrebbe essere un esempio per la politica e la società. Poco tempo fa si parlava di aprire completamente i roster ai bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri. Chissà quanti piccoli campioni si nascondono dietro l’etichetta di “cinese”, “africano”, “albanese” e non possono essere convocati in nazionale per un difetto della legge, troppo più grande di loro e di noi.
Per questo sogno, e spero di non essere l’unica, che la FIBS permetta a tutti i bambini nati e cresciuti in Italia, senza alcuna eccezione, non solo di vestire la casacca azzurra ma soprattutto di essere alla pari di qualsiasi altro ragazzo italiano. Sarebbe un gesto di fondamentale importanza per la società che potrebbe essere imitato da altre federazioni, per poi arrivare più velocemente alla legittimazione delle istituzioni.
In un mondo sempre più globalizzato i confini perdono gradualmente una definizione. Un grande esempio per tutti gli sportivi è Josefa Idem, pluricampionessa tedesca di canottaggio. Da diversi anni gareggia per la nazionale azzurra grazie al matrimonio con un italiano, vincendo Olimpiadi e Mondiali per il suo paese adottivo. Proprio riguardo alla sua naturalizzazione ha affermato: “La vera patria è avere un luogo dentro se stessi dove poter tornare”.
Lo sport non si deve limitare all’affermazione della supremazia di una nazionalità sull’altra, ma deve essere un diritto per tutti e soprattutto un momento di educazione alla convivenza nella società. E il baseball è sicuramente in grado di fare da pioniere per questa rivoluzione sportiva e sociale.
di Mara Mennella