Gli Houston Astros conquistano le prime World Series nella cinquantennale storia della franchigia e danno un’incommensurabile gioia ai propri tifosi e alla città tutta, ancora alle prese con le conseguenze derivanti dal devastante passaggio dell’urugano Harvey neanche tre mesi or sono.

Quella stessa calamità che, in senso metaforico, la squadra ha attraversato, più o meno indenne, dal 2011 al 2013, quando ha totalizzato qualcosa come 324 sconfitte in stagione regolare.

José Altuve, il fenomenale seconda base “tascabile” probabile prossimo MVP dell’American League, ha testimoniato più volte come il gruppo sia cresciuto, in questi ultimi anni, sotto vari punti di vista: la grande fiducia reciproca tra nuova proprietà e team, l’arrivo al timone di quest’ultimo di A.J. Hinch, e una serie di innesti che hanno letteralmente fatto la differenza, stelle cadute sul “Pianeta Astros” via draft (Springer, Correa, Bregman) o grazie a miracolosi affari, anche last minute, come quello che ha portato in Texas un fuoriclasse come Justin Verlander.

Si è disputata una “Fall classic” tra pesi massimi, tra due squadre da 100 vittorie in regular season e, più che sotto un profilo strettamente tecnico, la compagine texana ha vinto la sfida, e con estremo merito, soprattutto dal punto di vista agonistico.

Nel corso delle sette partite si è consumata una vera e propria partita a scacchi durante la quale gli Houston Astros hanno giocato abilmente, sia a minare le certezze degli avversari (qualche nome: Clayton Kershaw, Kenley Jansen, Cody Bellinger - 17 strikeout in 28 turni di battuta durante la serie -, non hanno reso per quanto era dato sperare ai tifosi della “Blue Crew”), sia a mascherare le proprie debolezze (per esempio, la prestazione del partente di ieri sera, Lance McCullers Jr. è durata 2.1 inning, giusto il tempo di colpire con la pallina quattro battitori avversari; e ancora: il closer “ufficiale” Ken Giles si trova un anello al dito chiudendo la serie con una media pgl di 27.00).

Nella bagarre (leggi anche: nelle partite finite agli extra-inning), Houston ha dimostrato di essere un team più resiliente, termine tanto caro al manager dei Los Angeles Dodgers, Dave Roberts, il quale di resilienza, durante l’off-season, dovrà mostrarne non poca.

Come nelle favole, il ranocchio si è così trasformato in principe: nomignoli come “Lastros” (laddove “L” sta per “sconfitta”) o “Disastros”, fino al 29 marzo 2018, giorno di inizio della nuova stagione, saranno dimenticati.

Houston è in orbita, al settimo cielo. Lunga vita agli “Astronauts”.

di Andrea Comotti


Nella foto, la festa di Correa e Altuve (da Astros Official Twitter Page).