L'ELIMINAZIONE DEI DETROIT TIGERS? UNA SORPRESA SOLO IN APPARENZA
L’amarezza in quel di Detroit è profonda: il cammino della squadra guidata da Brad Ausmus, che alcuni davano persino come favorita per le World Series, si è bruscamente interrotto già nel primo turno dei playoffs per mano dei Baltimore Orioles, i quali si sono aggiudicati la serie senza cedere neanche una partita.
In realtà, se consideriamo l’intero percorso dei Tigers durante la stagione regolare e osserviamo nel suo complesso il roster a disposizione di Ausmus, l’eliminazione non è da considerarsi così sorprendente. Dopo uno scoppiettante inizio (27-12) i Tigers hanno vivacchiato sul .500 per i restanti tre quarti di stagione e manifestato evidenti carenze, soprattutto – ma non solo – nel bullpen. Inoltre, ancora una volta, il GM Dave Dombrowski ha costruito una squadra con molte stelle ma anche altrettanti punti deboli, troppi per poter puntare veramente al massimo risultato – come in apparenza un roster che include gente come Miguel Cabrera, Victor Martínez e gli ultimi tre vincitori del Cy Young Award avrebbe imposto. Analizzeremo in dettaglio l’operato di Dombrowski nei prossimi giorni, a partire da quanto avvenuto nella scorsa offseason: al momento è opportuno soltanto sottolineare che ancora una volta la strategia dello ’stars and scrubs’ non ha pagato.
Certo, gli infortuni hanno fatto la loro parte, ma è semplicemente ridicolo attaccarsi ad essi quando si viene eliminati, con uno sweep oltretutto, da una squadra priva di un terzo del suo line-up titolare. Anzi, le assenze per tutta la stagione di Dirks, Iglesias e Rondon, più l’infortunio occorso a Sánchez (che di fatto ha costretto Ausmus a utilizzarlo solo come rilievo contro gli Orioles), non hanno fatto che evidenziare le voragini nel roster e la povertà di alternative nelle minors, perlomeno a livello di giocatori pronti per effettuare il grande salto. Senza contare che la presenza di Dirks avrebbe probabilmente impedito l’esplosione di J.D. Martinez, vera rivelazione del 2014. Il fatto che Ausmus, in frangenti decisivi di due delle tre partite contro gli Orioles, sia stato costretto a usare come pinch hitter un giocatore che nel 2014 aveva totalizzato appena sei presenze sul piatto nelle majors (peraltro senza aver proprio spopolato nelle minors) basta e avanza ad evidenziare la profondità zero del roster.
Riguardo proprio il manager, è perlomeno ingeneroso prendersela soltanto con lui. Indubbiamente Ausmus ha commesso molti errori – soprattutto in termini di gestione del bullpen – ma è anche arrivato a Detroit totalmente privo di quel bagaglio di esperienza necessario per affrontare quest’impresa. Ci sarà una ragione per cui, in oltre un secolo, solo quattro managers siano riusciti a condurre la propria squadra al massimo risultato al debutto assoluto nelle majors? Chiedere adesso la testa di Ausmus è pura follia, anche se al suo posto dovesse arrivare Gardenhire o un altro di ancor maggiore lignaggio. Non è certo colpa di Ausmus, al di là dell’inspiegabile e pregiudiziale rinuncia ad Alburquerque, se ogni rilievo mandato sul monte ha fatto più danni della grandine. Non è colpa sua se in frangenti decisivi di questa serie ha dovuto affidarsi a gente come Carrera, Pérez, Suarez e via dicendo – giocatori che con tutto il rispetto hanno ben poco a che vedere con un postseason roster di una squadra con ambizioni di titolo. Ausmus, da persona estremamente intelligente qual è, saprà sicuramente far tesoro dell’esperienza e anche degli errori commessi, se a Detroit gli verrà di nuovo concessa fiducia. Si potrà dire altrettanto di Dombrowski?
di Massimiliano Barzotti
Nella foto, la delusione di Joba Chamberlain (Semansky/FoxSports.com).
In realtà, se consideriamo l’intero percorso dei Tigers durante la stagione regolare e osserviamo nel suo complesso il roster a disposizione di Ausmus, l’eliminazione non è da considerarsi così sorprendente. Dopo uno scoppiettante inizio (27-12) i Tigers hanno vivacchiato sul .500 per i restanti tre quarti di stagione e manifestato evidenti carenze, soprattutto – ma non solo – nel bullpen. Inoltre, ancora una volta, il GM Dave Dombrowski ha costruito una squadra con molte stelle ma anche altrettanti punti deboli, troppi per poter puntare veramente al massimo risultato – come in apparenza un roster che include gente come Miguel Cabrera, Victor Martínez e gli ultimi tre vincitori del Cy Young Award avrebbe imposto. Analizzeremo in dettaglio l’operato di Dombrowski nei prossimi giorni, a partire da quanto avvenuto nella scorsa offseason: al momento è opportuno soltanto sottolineare che ancora una volta la strategia dello ’stars and scrubs’ non ha pagato.
Certo, gli infortuni hanno fatto la loro parte, ma è semplicemente ridicolo attaccarsi ad essi quando si viene eliminati, con uno sweep oltretutto, da una squadra priva di un terzo del suo line-up titolare. Anzi, le assenze per tutta la stagione di Dirks, Iglesias e Rondon, più l’infortunio occorso a Sánchez (che di fatto ha costretto Ausmus a utilizzarlo solo come rilievo contro gli Orioles), non hanno fatto che evidenziare le voragini nel roster e la povertà di alternative nelle minors, perlomeno a livello di giocatori pronti per effettuare il grande salto. Senza contare che la presenza di Dirks avrebbe probabilmente impedito l’esplosione di J.D. Martinez, vera rivelazione del 2014. Il fatto che Ausmus, in frangenti decisivi di due delle tre partite contro gli Orioles, sia stato costretto a usare come pinch hitter un giocatore che nel 2014 aveva totalizzato appena sei presenze sul piatto nelle majors (peraltro senza aver proprio spopolato nelle minors) basta e avanza ad evidenziare la profondità zero del roster.
Riguardo proprio il manager, è perlomeno ingeneroso prendersela soltanto con lui. Indubbiamente Ausmus ha commesso molti errori – soprattutto in termini di gestione del bullpen – ma è anche arrivato a Detroit totalmente privo di quel bagaglio di esperienza necessario per affrontare quest’impresa. Ci sarà una ragione per cui, in oltre un secolo, solo quattro managers siano riusciti a condurre la propria squadra al massimo risultato al debutto assoluto nelle majors? Chiedere adesso la testa di Ausmus è pura follia, anche se al suo posto dovesse arrivare Gardenhire o un altro di ancor maggiore lignaggio. Non è certo colpa di Ausmus, al di là dell’inspiegabile e pregiudiziale rinuncia ad Alburquerque, se ogni rilievo mandato sul monte ha fatto più danni della grandine. Non è colpa sua se in frangenti decisivi di questa serie ha dovuto affidarsi a gente come Carrera, Pérez, Suarez e via dicendo – giocatori che con tutto il rispetto hanno ben poco a che vedere con un postseason roster di una squadra con ambizioni di titolo. Ausmus, da persona estremamente intelligente qual è, saprà sicuramente far tesoro dell’esperienza e anche degli errori commessi, se a Detroit gli verrà di nuovo concessa fiducia. Si potrà dire altrettanto di Dombrowski?
di Massimiliano Barzotti
Nella foto, la delusione di Joba Chamberlain (Semansky/FoxSports.com).