L'ENTUSIASMO DEI GIOVANI E L'ESPERIENZA DEI VETERANI: ECCO IL SEGRETO DEI CHICAGO CUBS
Una tra le mille, possibili chiavi di lettura che riescano a interpretare la vittoria in gara-7 dei Chicago Cubs sta forse nelle parole di Mike Montgomery, il rilievo che di lì a poco sarebbe stato decisivo per l’ultima, fatidica eliminazione: “Con l’interruzione per la pioggia dopo il nono inning, Heyward ci ha chiamato in sala attrezzi. Mi aspettavo di vedere facce mogie, del resto ci avevano appena rimontato di tre punti nell’ottavo, con due out. E invece, erano tutti infiammati, tutti ancora concentrati sull’obiettivo”.
Diamo quindi ragione a Theo Epstein, il Grande Capo delle Operazioni nel North Side di Chicago, il quale, parlando del suo lineup, l’ha sempre descritto come una banda di talentuosi ragazzi capaci “solo” di vincere una partita alla volta; 103 in stagione regolare, e ora queste ultime, fantastiche 4.
Rispetto per la tradizione, indifferenza verso la superstizione: Billy Goat, i gatti neri e Steve Bartman sono così stati spazzati via dall’entusiasmo di questi “nati negli anni ’90”, guidati da un manager, Joe Maddon, il quale ha bene interpretato il loro spirito, riuscendo nell’intento di amalgamare la meglio gioventù del baseball con grandi veterani (uno su tutti, il ricevitore David Ross, che conquista il secondo anello della sua carriera (Red Sox, 2013) sublimandola con un ultimo fuoricampo).
Dal canto loro, i Cleveland Indians sono arrivati con fiato e braccio corto all’appuntamento con la Storia: Corey Kluber, a un passo dalla leggenda, ha mostrato una certa stanchezza, testimoniata dalla minore velocità dei suoi lanci, mentre Andrew Miller, stando alle parole di Terry Francona, ha semplicemente mostrato di essere umano.
Il 18 agosto scorso, in un’intervista radio Kyle Schwarber, alle prese con la rieducazione del suo gravemente infortunato ginocchio sinistro, ammetteva: “Sto lavorando duro, l’obiettivo è tornare per la prossima primavera.” Kyle Schwarber ha terminato queste World Series con una media battuta di .429: a qualsiasi latitudine, è sempre beata la gioventù.
di Andrea Comotti
Nella foto, il saluto tra Ross e Bryant durante i festeggiamenti per il titolo da parte dei Cubs (da Forgettable Feed Twitter Page).
Diamo quindi ragione a Theo Epstein, il Grande Capo delle Operazioni nel North Side di Chicago, il quale, parlando del suo lineup, l’ha sempre descritto come una banda di talentuosi ragazzi capaci “solo” di vincere una partita alla volta; 103 in stagione regolare, e ora queste ultime, fantastiche 4.
Rispetto per la tradizione, indifferenza verso la superstizione: Billy Goat, i gatti neri e Steve Bartman sono così stati spazzati via dall’entusiasmo di questi “nati negli anni ’90”, guidati da un manager, Joe Maddon, il quale ha bene interpretato il loro spirito, riuscendo nell’intento di amalgamare la meglio gioventù del baseball con grandi veterani (uno su tutti, il ricevitore David Ross, che conquista il secondo anello della sua carriera (Red Sox, 2013) sublimandola con un ultimo fuoricampo).
Dal canto loro, i Cleveland Indians sono arrivati con fiato e braccio corto all’appuntamento con la Storia: Corey Kluber, a un passo dalla leggenda, ha mostrato una certa stanchezza, testimoniata dalla minore velocità dei suoi lanci, mentre Andrew Miller, stando alle parole di Terry Francona, ha semplicemente mostrato di essere umano.
Il 18 agosto scorso, in un’intervista radio Kyle Schwarber, alle prese con la rieducazione del suo gravemente infortunato ginocchio sinistro, ammetteva: “Sto lavorando duro, l’obiettivo è tornare per la prossima primavera.” Kyle Schwarber ha terminato queste World Series con una media battuta di .429: a qualsiasi latitudine, è sempre beata la gioventù.
di Andrea Comotti
Nella foto, il saluto tra Ross e Bryant durante i festeggiamenti per il titolo da parte dei Cubs (da Forgettable Feed Twitter Page).