RIFORMA DEL BASEBALL ITALIANO: I PRO E I CONTRO
Problema: in Italia c’è uno sport chiamato baseball che non ha mai accennato a decollare. Dato di fatto: i tifosi sugli spalti sono sempre meno e coloro che tentano un primo approccio alla disciplina vengono intimoriti dalla complessità delle regole. Possibili soluzioni: sconosciute, ma qualcosa bisognerà pur inventarsi per rilanciare un movimento poco conosciuto nel Bel Paese. Ciò che serve per preparare la pozione magica non c’è. Servirebbero soldi, tanti, tantissimi: per farsi pubblicità ed occupare spazi mediatici.
Servirebbe una credibilità tale da permettere alle società di sfondare le porte perennemente chiuse delle scettiche realtà scolastiche. Scuole che si sono aperte al rugby ma non al baseball. Misteri della vita. Anzi, nessun mistero. La “palla ovale” italiana sta spopolando grazie all’immensa vetrina della quale fa parte e che risponde al nome del prestigioso torneo del “Sei Nazioni”. Prima che la nazionale azzurra venisse inserita tra le partecipanti alla seguitissima competizione continentale il rugby in Italia godeva della stessa considerazione del baseball. Poi ha ingranato la quinta sgommando via verso le prime posizioni della classifica riguardante gli sport più seguiti.
Servono quindi palcoscenici che non possono essere i deserti stadi che ospitano le partite di baseball dell’IBL. Serve la tv con le sue telecamere. Servirebbe soprattutto un quantitativo esagerato di cultura. E per costruirla si deve partire dai giovani, e quindi dalle scuole.
Servirebbe una formula di svolgimento del campionato che invogli le famiglie a recarsi negli stadi. Come? Iniziando a giocare alla domenica. Ma non, per ovvi motivi, in concomitanza con le partite di calcio.
Si, anche la formula del campionato può influire in maniera determinante sul successo del batti e corri “Made in Italy”.
Alla luce di tutto questo la riforma che dovrebbe rivoluzionare il massimo campionato italiano, e a cascata le serie inferiori, non è da scartare ma porta in dote interrogativi non di poco conto. La suddivisione in tre fasi del torneo non è neppure un obbrobrio. Però il fatto di poter disporre di meno stranieri dimezza notevolmente le potenzialità tecniche del torneo e di conseguenza la spettacolarità che gli atleti possono offrire. Ma è altrettanto vero che in questa maniera si liberano posti per giocatori italiani. Magari giovani, promettenti, che “costringendo” gli allenatori a farli scendere in campo potrebbero calcare il diamante ed il campo esterno con continuità e maggiore tranquillità.
Nella prima fase si disputerebbero solo due gare ogni week end. Non è il massimo della goduria ma c’è anche da dire che il livello dei due gironi sarebbe talmente poco equilibrato che disputare tre match lascerebbe il tempo che trova.
Se ne potrebbero trovare decine e decine di difetti a questa ipotesi di ristrutturazione del torneo. Ma il baseball italiano non si trova nelle condizioni ideali per poter mettersi a cercare l’ago nel pagliaio.
Si faccia qualcosa. Possibilmente bene. Purtroppo nessuno ha in mano la ricetta perfetta per rendere il baseball italiano appetibile ai più. E quindi non resta che provare. Come si dice: tentar non nuoce.
di Matteo Petrucci
Servirebbe una credibilità tale da permettere alle società di sfondare le porte perennemente chiuse delle scettiche realtà scolastiche. Scuole che si sono aperte al rugby ma non al baseball. Misteri della vita. Anzi, nessun mistero. La “palla ovale” italiana sta spopolando grazie all’immensa vetrina della quale fa parte e che risponde al nome del prestigioso torneo del “Sei Nazioni”. Prima che la nazionale azzurra venisse inserita tra le partecipanti alla seguitissima competizione continentale il rugby in Italia godeva della stessa considerazione del baseball. Poi ha ingranato la quinta sgommando via verso le prime posizioni della classifica riguardante gli sport più seguiti.
Servono quindi palcoscenici che non possono essere i deserti stadi che ospitano le partite di baseball dell’IBL. Serve la tv con le sue telecamere. Servirebbe soprattutto un quantitativo esagerato di cultura. E per costruirla si deve partire dai giovani, e quindi dalle scuole.
Servirebbe una formula di svolgimento del campionato che invogli le famiglie a recarsi negli stadi. Come? Iniziando a giocare alla domenica. Ma non, per ovvi motivi, in concomitanza con le partite di calcio.
Si, anche la formula del campionato può influire in maniera determinante sul successo del batti e corri “Made in Italy”.
Alla luce di tutto questo la riforma che dovrebbe rivoluzionare il massimo campionato italiano, e a cascata le serie inferiori, non è da scartare ma porta in dote interrogativi non di poco conto. La suddivisione in tre fasi del torneo non è neppure un obbrobrio. Però il fatto di poter disporre di meno stranieri dimezza notevolmente le potenzialità tecniche del torneo e di conseguenza la spettacolarità che gli atleti possono offrire. Ma è altrettanto vero che in questa maniera si liberano posti per giocatori italiani. Magari giovani, promettenti, che “costringendo” gli allenatori a farli scendere in campo potrebbero calcare il diamante ed il campo esterno con continuità e maggiore tranquillità.
Nella prima fase si disputerebbero solo due gare ogni week end. Non è il massimo della goduria ma c’è anche da dire che il livello dei due gironi sarebbe talmente poco equilibrato che disputare tre match lascerebbe il tempo che trova.
Se ne potrebbero trovare decine e decine di difetti a questa ipotesi di ristrutturazione del torneo. Ma il baseball italiano non si trova nelle condizioni ideali per poter mettersi a cercare l’ago nel pagliaio.
Si faccia qualcosa. Possibilmente bene. Purtroppo nessuno ha in mano la ricetta perfetta per rendere il baseball italiano appetibile ai più. E quindi non resta che provare. Come si dice: tentar non nuoce.
di Matteo Petrucci