La carriera di giocatore di Gil Kim finisce in Venezuela: “Ogni sera, tiravo fuori il materasso dal mio armadietto e dormivo nello spogliatoio”.

Potrebbe essere l’incipit di una triste storia, e invece…

E invece quell’esperienza, ogni volta che la ricorda, a Gil Kim non è affatto dispiaciuta; anzi, la annovera tra le più formative della sua vita, una vita da globetrotter, quella di questo ex utility player, che ha giocato in Olanda, in Cina, in Australia e in Spagna, prima di approdare a Mariara, in Venezuela.

In ogni tappa della sua carriera ha cercato di imparare qualcosa, assorbendo una nuova cultura, intrecciando nuovi legami e aprendosi porte per nuove opportunità.

Chissà, se in una di quelle notti passate su un materasso nella clubhouse di Mariara, ancora nel 2008, Gil Kim sognava già la MLB.

Sì, perchè ora è nel giro che conta, ed è notizia di pochi giorni fa che supervisionerà per conto dei Toronto Blue Jays le operazioni di Minor League, il che significa seguire otto squadre in 3 differenti paesi e coordinare lo staff che si prende cura dei giocatori.

E’ rimasto sorpreso dal fatto che i Texas Rangers – perchè lui, nel giro che conta, già c’era – abbiano consentito al colloquio per i Blue Jays.

Ma le nuove sfide, per un giramondo come Gil, non sono qualcosa di anomalo, se si pensa alla scelta di vivere nella clubhouse venezuelana invece che negli appartamenti forniti ai giocatori. “Non era male come può sembrare, anzi, avevo trovato anche le mie comodità”, dice, ricordando quei tempi, “in piedi presto alla mattina, poi al campo per la partita, e nel pomeriggio potevo dedicare qualche ora allo studio dello spagnolo. Era una situazione che mi è tornata utile prima di quel che si possa pensare”.

Conoscere lo spagnolo, per chi vuole lavorare di baseball anche a fine carriera, è un plus di non poco conto. Per questo motivo nel 2008 sceglie di volare in Spagna, dove incontra il manager che poi lo porta a Mariara, sua ultima destinazione da giocatore.

A 26 anni non è più tempo di coltivare illusioni, ma chiari sono gli obiettivi in testa: giocare ancora un pò, e continuare ad imparare.

Come si fa a trarre del positivo anche dalle esperienze negative? Le parole di Gil Kim sono da manuale di self-help: “Hanno tutti firmato per club importanti, i miei ultimi compagni di squadra, tranne me. Ho colto così l’opportunità per capire il sistema dal suo interno, per capire come sono i giovani e come si sviluppa la loro vita in Venezuela. La cosa piu’ importante che ho imparato? Come entrare in relazione con persone dai diversi background. Ciò mi ha aiutato molto nel mio lavoro coi Rangers: sapevo infatti come relazionarmi coi giocatori venezuelani''.

Un lavoro per i Pittsburgh Pirates dal 2009, e poi scouting dal Messico per la franchigia texana. La lingua spagnola serve, e lui la padroneggia; i Rangers se ne accorgono, come attesta il penultimo incarico da caposcout internazionale.

In Messico ha modo di conoscere Roberto Osuna, il rilievo dei Blue Jays, ed è lì che incontra per la prima volta Tony LaCava, un dirigente dei Blue Jays facente parte della “commissione” che lo avrebbe poi valutato, anni dopo, per l’incarico per il quale è stato scelto.

Nel comunicato che spiega la sua assunzione, i Blue Jays ritengono che Gil Kim sarà un ottimo “sorvegliante dell’impegno di giocatori e staff nel processo di realizzazione dei propri obiettivi”.

Gil Kim ha le idee chiare sulle proprie mansioni: “Tutti, nell’organizzazione, hanno il dovere di impegnarsi, tutti abbiamo bisogno di essere ritenuti responsabili. E noi dobbiamo massimizzare i nostri sforzi per giungere all’obiettivo: portare le World Series a Toronto.” E ancora: “Nel giocare, ho capito che non sarei arrivato in Major League; e allora, durante il percorso, mi sono allenato per cercare altri modi per rimanere nel mondo del baseball.”

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.

Gil “Proust” Kim docet.

di Andrea Comotti


Nella foto, Gil Kim, sulla destra, al lavoro (da Nationalpost.com).