NEL 2014 IL BASEBALL GODO FESTEGGIA 50 ANNI DI STORIA E ORGOGLIO
La storia del piccolo grande miracolo chiamato Baseball Softball Club Godo è arrivata al suo Cinquantesimo anno. Quando la redazione mi ha chiesto di scrivere questo editoriale mi sono sentito piccolo e, ovviamente, in conflitto di interessi. Godo per me sono stati gli anni dei cadetti, spesso in panchina, ma sotto la magnifica ala protettiva di Bill Holmberg e, poi, 5 anni fantastici nel ruolo di Team Manager. Un "cugino" diventato amico negli anni in cui il batti&corri di alto livello ravennate si divideva fra Marina di Ravenna, il mio nido, e il piccolo paese del Comune di Russi.
Sarebbe troppo lungo ripercorrere tutta la storia miracolosa di questa squadra (per quello vi rimando a questo bellissimo pezzo uscito su una testata locale e a libro "Il baseball nel cuore di un paese di Flavia Zanchini") ma vi parlerò di quello che per me Godo è all'interno del panorama nazionale del baseball e dello sport in generale e di quanto sia importante festeggiare il suo Cinquantesimo. Godo è innanzitutto orgoglio. L'orgoglio di aver creato dal nulla e in un paese di 2000 anime una società che è arrivata ai massimi vertici dello sport italiano e di averla mantenuta nel tempo con una passione che dura 365 giorni all'anno. Una passione fatta di tanti sacrifici per i volontari e i dirigenti che negli anni si sono avvicendati nel lavorare intorno alla squadra. Una abnegazione ed un attaccamento alla bandiera da parte dei giocatori, perlopiù figli, nipoti o amici di chi quel miracolo lo ha iniziato nel 1964. Dai cappelletti e le pentole dello stand de la storica Fira dei Sett Dulur fino alle tre notti magiche dei Mondiali 2009. Tanto tempo rubato alle proprie famiglie, al proprio tempo libero, alle ragazze o perché no alla vicina spiaggia per sudare nel meraviglioso diamante in mezzo al granturco che tanto ricorda quello narrato da Kinsella ne "The Field of Dreams".
Una squadra che nel suo piccolo e al netto delle polemiche, che purtroppo continuano ad imperversare nel nostro ambiente, ha dimostrato, insieme ad altre poche compagini nazionali, che investire sullo staff tecnico e sui prodotti locali nel lungo periodo da sempre frutti e che, come gli Oakland Athletics di Billy Beane, anche con piccoli cifre ma ben spese si possono fare grandi cose. Una scelta che all'inizio era sembrata ai più obbligata per via delle vicissitudini economiche che per una visione strategica. Ma c'è da ammettere che il team ravennate, ben prima che la tempesta investisse squadre ben più blasonate, aveva intuito la gravità della situazione facendo per prima un passo indietro e cambiando complessivamente la struttura della società e il modo di fare mercato per la prima squadra. Ecco questo secondo me è un punto veramente importante, che può rendere Godo uno dei modelli per il futuro del batti&corri italiano in perenne crisi di astinenza da fondi e visibilità. Sfruttare le proprie forze, investire anche a livello dirigenziale su forze fresche e giovani nei più disparati compiti (vedi alla voce marketing e comunicazione) e soprattutto investire su tutto quello che è l'indotto dell'atleta, dal minibaseball all'IBL: le scuole, la famiglia, gli amici e la solidarietà.
E' stato bello che il Presidente Naldoni sia stato l'unico a dichiararsi dispiaciuto pubblicamente per la fine del modello a franchigie al netto delle critiche verso il sistema che continua a rifiutare una riforma e un ridimensionamento. Perché il Godo la franchigia l'ha saputa interpretare nel modo giusto e, insieme al Parma, sono state le uniche due realtà che hanno dimostrato che collimare alto livello e settore giovanile è ancora possibile. Hanno promosso atleti dalle serie minori che avevano bisogno solo di avere una possibilità per fare il grande salto e che spesso hanno portato di più di un qualche imported col doppio passaporto. Non è un discorso razzista e non è una cosa ipocrita per uno che di oriundi in questi anni ne ha firmati: è una constatazione facilmente individuabile scorrendo le statistiche degli ultimi dieci anni.
E, soprattutto, questi ragazzi cresciuti nei vivai si portano dietro gli amici, le famiglie, le fidanzate. Portano il pubblico che compone perlopiù le nostre tribune, nella massima serie come nelle serie amatoriali. Sono, insieme con i nostri pro Maestri, Liddi e Castagnini, il simbolo che anche il ragazzo che negli Allievi mettono all'esterno destro perché "è scarso" un giorno ce la potrà fare.
La Stella d'Argento del CONI, assegnata pochi mesi fa alla società, arriva a coronamento finale di questo impegno. I Knights quest'anno ripartono dal gruppo storico, dagli under 21 del team satellite dei Goti e da pochi giocatori esperti. Ma riparte da dove è nato il "sogno americano" ovvero dai suoi ragazzi che al campo ci arrivano in bicicletta o in moto da cross. E quando si è giovani, come si dice sul campo di Via Rivalona, bisogna spingere duro. In bocca al lupo e tanti auguri.
di Marco Mignola
Nella foto, il logo coniato per i 50 anni di storia del team romagnolo (da baseball-godo.com).
Sarebbe troppo lungo ripercorrere tutta la storia miracolosa di questa squadra (per quello vi rimando a questo bellissimo pezzo uscito su una testata locale e a libro "Il baseball nel cuore di un paese di Flavia Zanchini") ma vi parlerò di quello che per me Godo è all'interno del panorama nazionale del baseball e dello sport in generale e di quanto sia importante festeggiare il suo Cinquantesimo. Godo è innanzitutto orgoglio. L'orgoglio di aver creato dal nulla e in un paese di 2000 anime una società che è arrivata ai massimi vertici dello sport italiano e di averla mantenuta nel tempo con una passione che dura 365 giorni all'anno. Una passione fatta di tanti sacrifici per i volontari e i dirigenti che negli anni si sono avvicendati nel lavorare intorno alla squadra. Una abnegazione ed un attaccamento alla bandiera da parte dei giocatori, perlopiù figli, nipoti o amici di chi quel miracolo lo ha iniziato nel 1964. Dai cappelletti e le pentole dello stand de la storica Fira dei Sett Dulur fino alle tre notti magiche dei Mondiali 2009. Tanto tempo rubato alle proprie famiglie, al proprio tempo libero, alle ragazze o perché no alla vicina spiaggia per sudare nel meraviglioso diamante in mezzo al granturco che tanto ricorda quello narrato da Kinsella ne "The Field of Dreams".
Una squadra che nel suo piccolo e al netto delle polemiche, che purtroppo continuano ad imperversare nel nostro ambiente, ha dimostrato, insieme ad altre poche compagini nazionali, che investire sullo staff tecnico e sui prodotti locali nel lungo periodo da sempre frutti e che, come gli Oakland Athletics di Billy Beane, anche con piccoli cifre ma ben spese si possono fare grandi cose. Una scelta che all'inizio era sembrata ai più obbligata per via delle vicissitudini economiche che per una visione strategica. Ma c'è da ammettere che il team ravennate, ben prima che la tempesta investisse squadre ben più blasonate, aveva intuito la gravità della situazione facendo per prima un passo indietro e cambiando complessivamente la struttura della società e il modo di fare mercato per la prima squadra. Ecco questo secondo me è un punto veramente importante, che può rendere Godo uno dei modelli per il futuro del batti&corri italiano in perenne crisi di astinenza da fondi e visibilità. Sfruttare le proprie forze, investire anche a livello dirigenziale su forze fresche e giovani nei più disparati compiti (vedi alla voce marketing e comunicazione) e soprattutto investire su tutto quello che è l'indotto dell'atleta, dal minibaseball all'IBL: le scuole, la famiglia, gli amici e la solidarietà.
E' stato bello che il Presidente Naldoni sia stato l'unico a dichiararsi dispiaciuto pubblicamente per la fine del modello a franchigie al netto delle critiche verso il sistema che continua a rifiutare una riforma e un ridimensionamento. Perché il Godo la franchigia l'ha saputa interpretare nel modo giusto e, insieme al Parma, sono state le uniche due realtà che hanno dimostrato che collimare alto livello e settore giovanile è ancora possibile. Hanno promosso atleti dalle serie minori che avevano bisogno solo di avere una possibilità per fare il grande salto e che spesso hanno portato di più di un qualche imported col doppio passaporto. Non è un discorso razzista e non è una cosa ipocrita per uno che di oriundi in questi anni ne ha firmati: è una constatazione facilmente individuabile scorrendo le statistiche degli ultimi dieci anni.
E, soprattutto, questi ragazzi cresciuti nei vivai si portano dietro gli amici, le famiglie, le fidanzate. Portano il pubblico che compone perlopiù le nostre tribune, nella massima serie come nelle serie amatoriali. Sono, insieme con i nostri pro Maestri, Liddi e Castagnini, il simbolo che anche il ragazzo che negli Allievi mettono all'esterno destro perché "è scarso" un giorno ce la potrà fare.
La Stella d'Argento del CONI, assegnata pochi mesi fa alla società, arriva a coronamento finale di questo impegno. I Knights quest'anno ripartono dal gruppo storico, dagli under 21 del team satellite dei Goti e da pochi giocatori esperti. Ma riparte da dove è nato il "sogno americano" ovvero dai suoi ragazzi che al campo ci arrivano in bicicletta o in moto da cross. E quando si è giovani, come si dice sul campo di Via Rivalona, bisogna spingere duro. In bocca al lupo e tanti auguri.
di Marco Mignola
Nella foto, il logo coniato per i 50 anni di storia del team romagnolo (da baseball-godo.com).