Ci sono emozioni nella vita che si consumano nell'arco di poco tempo, ti trascinano nella gioia, nella soddisfazione di un lavoro ben fatto. Poi tutto si calma e allora si comincia a realizzare, veramente, cosa si è riusciti a fare. Quello è il momento in cui, forse, ci accorgiamo di strane casualità. Non è questione di interpretare presagi, ma semplicemente di sorridere dell'imprevedibilità.

C'è un po' di Italia nella vittoria del Messico nella Serie del Caribe. C'è Alex Liddi. C'è una lingua così geneticamente simile a quella italiana, c'è una bandiera con gli stessi colori. Nessun fatalismo, per carità! Solo che qualche volta, la vita ci fa sorridere per queste piccole concomitanze di fatti. E' legato al Sole, Alex Liddi, quello della sua terra, che si porta dentro per nascita e che non lo abbandona, che gli impedisce di “montarsi la testa”, perché sa quanto gli è costata la carriera di giocatore di baseball. Poteva essere solo così, per chi è stato svezzato a latte e baseball.

Forse lui non si rende neppure conto di quanto, gli italiani che amano il baseball, amino anche lui; quanto il senso di appartenenza che lui genera si faccia sentire da chi, nei sogni, avrebbe voluto essere al suo posto.

Non sa di quante volte, tra i tifosi italiani che si incontrano, ricorra quella domanda: “Hai visto cosa ha fatto Alex Liddi?”, con una sorta di piacevole riscatto verso quel mondo inarrivabile, per noi, che è il baseball americano ad alto livello.

Quanto sacrificio occorre per arrivare ad essere l'unico italiano arrivato in Major League; quanta dedizione, concentrazione e volontà occorrono per rimanerci?

Questo potrebbe dircelo lui che, a vederlo nelle interviste, pare avere tutto sotto controllo, sereno e felice, con la sua dolcissima bambina in braccio, che racconta di come, nella sua vita, le prime due cose più importanti siano la famiglia e il baseball. Potrebbe parlarci della necessità di essere convinti di ciò che si fa e del proprio valore, quando tutti quelli “che contano” dicono che, insomma, loro non ci credono mica troppo in te.

Quando ti dicono che i tuoi piedi non sono abbastanza rapidi per giocare in terza e devi adattarti alle decisione alternative del coach. Quando ti dicono che in battuta, sì, sei potente, ma manchi di capacità di contatto e di disciplina alla battuta e tu, le tue vacanze in Italia, le passi ad allenarti a Tirrenia, con l'allenatore della Nazionale italiana, ricominciando dai fondamentali. Quando non considerano quanto tu sia giovane e che non giochi decine e decine di partite ogni stagione, per poterti creare un'esperienza. Quando sei finito in quella macchina tritatutto che è la società americana che, ancora più nello sport che in altri ambiti, ti trascina nella competizione più disperata e ti sbriciola tra le eliche del suo bisogno di dominio.

Invece lui è italiano e, per quel DNA che ci rende capaci di tutto, riesce a conquistare il suo posto, rispettando le regole, con onestà e correttezza e aspettando il suo momento, in una danza di trasferimenti che, però, non sgualcisce il sogno della vita. Con determinazione da buon lavoratore, i punti battuti a casa cominciano ad aumentare, arrivano le valide pesanti e i fuoricampo. Arriva la nostalgia di casa e della sua famiglia, come arriva l'amore e la gioia di avere una figlia. Si ritrova a giocare con i Mariners e con Ichiro Suzuki e il sogno da film acquista la consistenza della realtà. Si imbatte nuovamente in momenti negativi ma, nonostante tutto, si rialza sempre e, dopo tanto lavoro, diventa il primo italiano a giocare la Serie del Caribe e se ne dichiara orgoglioso.

Gioca in terza e, soprattutto, è terzo nell'ordine di battuta, a sottolineare il suo miglioramento costante. Batte una valida contro il Venezuela in fase di qualificazione, 2 valide contro Porto Rico e un doppio contro Cuba e, finalmente, la finale e il titolo. Per il nuovo baseball italiano, per i giovanissimi che giocano oggi, è lui l'idolo, l'italiano che gioca in Major. Da oggi, per lui, un nuovo inizio, non l'unico, ma solo un nuovo inizio, per poter continuare.

di Cristina Pivirotto


Nella foto, Alex Liddi con in mano il trofeo della Serie del Caribe (da FIBS.it).