A TU PER TU CON...ROBERTO RADAELLI, EX PITCHING COACH DELLA FORTITUDO BASEBALL BOLOGNA
Lo scorso novembre, Roberto Radaelli ha annunciato il suo addio al mondo del baseball. L’ex allenatore dei lanciatori della Fortitudo Bologna ha lasciato il mondo del batti e corri dopo un’invidiabile carriera che lo ha visto protagonista prima da giocatore poi da allenatore con un palmares ricco di trofei.
Dopo un inizio di carriera a Bollate, sua città natale, “Rada’’, nel 1980, si è trasferito a Bologna per vestire i colori della Fortitudo. Dopo 10 stagioni sotto le Due Torri ha deciso di tornare nella sua Bollate, nel 1990 ma dopo 4 stagioni è ritornato in Fortitudo dove ha poi terminato la propria carriera da giocatore. Fondamentale è stato il suo apporto per lo Scudetto del 1984 e per la Coppa Campioni del 1985 con la casacca bolognese.
Appeso il guanto al chiodo, Radaelli, è entrato a fare parte dello staff tecnico della Fortitudo con cui ha vinto tutto quello che è possibile vincere: 7 Scudetti, 4 Coppa Campioni, 8 Coppa Italia e Supercoppa Italiana.
Noi di Grandeslam.net, abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo nel nostro primo appuntamento del 2020 con la rubrica ‘’A tu per tu con...’’
Iniziamo subito con la domanda che quasi tutti gli amanti del baseball italiano si sono fatti: sei proprio sicuro di questo ritiro?
Il ritiro è sicuro, l’avevo già in mente l’anno scorso, alla fine del 2018, nonostante lo Scudetto vinto. Ero stanco fisicamente, sono oramai 50 anni che calco i campi di gioco, ma quando la Fortitudo ha deciso di organizzare la Coppa dei Campioni mi sono detto che un altro anno andava fatto, non si poteva e non si doveva mancare a un evento cosi importante che mancava dal 1985 a Bologna e cosi ho deciso di rimandare il mio ritiro. In questo 2019, nonostante le vittorie, mi sono reso conto di quanto fosse difficile per me continuare questo percorso, sia come stimoli che fisicamente. La scelta è stata tutt’altro che semplice. Quando ho parlato con Mura, Frignani e Folletti mi sono anche lacrimati gli occhi, ma a 60 anni è giunto il momento di farmi da parte. Ringrazio la Fortitudo ed il Bollate per quello che mi hanno dato in tutti questi miei anni di carriera.
Il tuo ruolo nello staff tecnico dell’UnipolSai Fortitudo lo ha rilevato Fabio Betto. Cose ne pensi come scelta da parte della dirigenza bolognese?
Meglio di cosi non si poteva prendere, Fabio è uno che conosce il baseball, conosce i pitcher, è stato un lanciatore e conosce la Fortitudo. Sta facendo il mio stesso percorso, è arrivato da giocatore a Bologna, si è calato nella realtà fortitudina ed è, come me, diventato un bolognese acquisito. Io sono milanese ma oramai questa città mi è entrata dentro e cosi è stato anche per lui. Fabio è un uomo Fortitudo al 100% e sono sicuro che la scelta è perfetta.
La scorsa stagione è entrata nella storia della Fortitudo Bologna in quanto per la prima volta siete riusciti a vincere Scudetto e Coppa Campioni. Ti aspettavi un’annata del genere lo scorso inverno?
E’ stata anche la stagione del back to back che è accaduto per la prima volta nella storia della Fortitudo. La società ti mette a disposizione sempre degli ottimi giocatori, poi sta sempre allo staff tecnico saperli gestirli, saper valutare le situazioni di difficoltà, non rilassarsi quando si hanno strisce di vittorie. Abbiamo capito che avevamo comunque un grande monte, Mura non ha sbagliato nessun acquisto, siamo stati bravi, nonostante la vittoria della Coppa dei Campioni: strepitosa dal monte, alla difesa ai battitori, tutti veramente bravissimi, a capire che ci mancava qualcosa per ambire al titolo italiano e poter terminare al massimo la stagione. Grazie ad un paio di acquisti, tipo Paz che ci ha dato tantissimo dietro al piatto, alleggerendo il lavoro di Marval che è cosi tornato ad essere il battitore che tutti conoscevamo, siamo riusciti ad arrivare pronti ai playoff ed a fare nostro il titolo italiano. Nonostante tutto la Fortitudo all’inizio di ogni stagione parte sempre per vincere tutto, poi tra il dire ed il fare è tutta una altra cosa.
Come è stato gestire il bullpen felsineo in questa trionfale annata?
I lanciatori della squadra sono tutti talmente professionali che mi hanno agevolato il compito, poche lamentele e pronti per il momento clou della stagione, ovvero i playoff.
Nella tua lunga e vittoriosa carriera da pitching coach quali sono stati i momenti più significativi, più importanti, più emozionanti che ricordi con più gioia?
Sicuramente il primo Scudetto, nel 2003, dopo quasi 20 anni dall’ultimo del 1984. La Coppa dei Campioni di Barcellona 2010, anch’essa mancava da parecchio tempo nella bacheca della Fortitudo. Diciamo che ripercorriamo questi miei 20 anni da allenatore partendo da Mazzotti, passando per Nanni e terminando con la storica stagione di quest’anno, che ha coronato la mia carriera da pitching coach, con Frignani. Ovviamente non meno importanti, o emozionanti, le tante vittorie tra questi tre step, come ad esempio la vittoria a Nettuno, all’ultimo inning con il walk off di De Donno davanti a 6000 spettatori nella Finale della Coppa Campioni 2012, oppure lo scudetto della Stella.
Negli anni hai allenato tantissimi lanciatori, chi ti ha sorpreso per il proprio talento e chi, invece, è quello che lavorando sodo è riuscito ad avere la maggior crescita?
Dico Fabio Betto perché l’ho visto giocare a Parma e vivere di potenza, giovane forte atleticamente e fisicamente. Arrivato a Bologna era ancora forte, ma l’infortunio che ha subito gli ha fatto cambiare il modo di lanciare. Molti altri lanciatori avrebbero appeso il guanto al chiodo oppure non sarebbero stati più in grado di affrontare le mazze del campionato italiano, lui con un’intelligenza fuori dal normale è riuscito a trasformarsi ed è riuscito a diventare uno dei migliori lanciatori italiani nonostante fosse calato di velocità. Sicuramente è stata una cosa che mi ha impressionato molto. Altre due persone da citare non possono essere che Matos e Rivero, due personaggi simili come carattere, schivi, chiusi ma sempre vincenti e con una mentalità da professionisti.
Hai avuto la fortuna di allenare sia Jesus Matos che Raul Rivero. Come è stato lavorare insieme a loro?
Il lavoro con loro, essendo giocatori con esperienze importanti alle spalle, era sopratutto mentale per farli approcciare e fargli capire il campionato italiano, cercare sempre di fargli capire che il braccio andava usato nel modo corretto e non come una macchina che deve soltanto lanciare. Dopo un paio di anni che Rivero ero arrivato in Italia gli dissi che sarebbe diventato il nuovo Matos e posso dire di averci preso. Aneddoti ce ne sono pochi dato che erano ambedue schivi e riservati, una cosa che mi viene in mente è che Matos al suo arrivo riusci a legare subito con il gruppo degli italiani mentre Raul ci mise un po' di più legando invece subito con quello degli stranieri.
Sono quasi 40 anni che vesti la casacca della Fortitudo, prima come giocatore e dopo come allenatore, come è cambiato la società in questi anni?
Io sono arrivato a Bologna nel 1980, potevo andare a Parma, Torino o Milano, ma ho scelto Bologna perché sapevo che la Fortitudo era una società molto umana ed era la scelta giusta per me. Era una squadra che durava nel tempo, perché sempre comandata da gente con la testa che guardava si al presente ma anche al futuro per evitare, come invece capita sempre più spesso al giorno d’oggi, di ripartire da zero l’anno successivo o dover addirittura abbandonare. Pensiero utilissimo, sopratutto nel momento in cui siamo ripartiti dalla A2, che ci ha permesso di ritornare presto nella massima serie e tornare nel minor tempo possibile competitivi ai massimi livelli nonostante il difficile momento passato. In questi anni la Fortitudo è ovviamente cambiata tanto, come è cambiato il baseball italiano, ma non è cambiata la mentalità dirigenziale, ed è grazie proprio a questa mentalità che è diventata, dagli anni 2000 ad oggi, una delle squadre più titolate degli ultimi 20 anni, se non addirittura la più titolata del campionato italiano.
Ultima domanda, lasciato il ruolo di pitching coach cosa farà Radaelli adesso?
Dopo aver parlato con Frignani e Mura so che di braccia per tirare il batting practice ce ne è sempre bisogno, per fortuna il mio è ancora integro e se avranno bisogno potrò dare il mio apporto. Altrimenti Radaelli lavorerà, sarà una persona normale, andrà a vedere la Fortitudo e girerà nei campi delle serie minori, come più o meno ho sempre fatto, per vedere qualche partita.
di Mirco Monda
La foto è di Lorenzo Bellocchio - Fortitudo Basebal.com
Dopo un inizio di carriera a Bollate, sua città natale, “Rada’’, nel 1980, si è trasferito a Bologna per vestire i colori della Fortitudo. Dopo 10 stagioni sotto le Due Torri ha deciso di tornare nella sua Bollate, nel 1990 ma dopo 4 stagioni è ritornato in Fortitudo dove ha poi terminato la propria carriera da giocatore. Fondamentale è stato il suo apporto per lo Scudetto del 1984 e per la Coppa Campioni del 1985 con la casacca bolognese.
Appeso il guanto al chiodo, Radaelli, è entrato a fare parte dello staff tecnico della Fortitudo con cui ha vinto tutto quello che è possibile vincere: 7 Scudetti, 4 Coppa Campioni, 8 Coppa Italia e Supercoppa Italiana.
Noi di Grandeslam.net, abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo nel nostro primo appuntamento del 2020 con la rubrica ‘’A tu per tu con...’’
Iniziamo subito con la domanda che quasi tutti gli amanti del baseball italiano si sono fatti: sei proprio sicuro di questo ritiro?
Il ritiro è sicuro, l’avevo già in mente l’anno scorso, alla fine del 2018, nonostante lo Scudetto vinto. Ero stanco fisicamente, sono oramai 50 anni che calco i campi di gioco, ma quando la Fortitudo ha deciso di organizzare la Coppa dei Campioni mi sono detto che un altro anno andava fatto, non si poteva e non si doveva mancare a un evento cosi importante che mancava dal 1985 a Bologna e cosi ho deciso di rimandare il mio ritiro. In questo 2019, nonostante le vittorie, mi sono reso conto di quanto fosse difficile per me continuare questo percorso, sia come stimoli che fisicamente. La scelta è stata tutt’altro che semplice. Quando ho parlato con Mura, Frignani e Folletti mi sono anche lacrimati gli occhi, ma a 60 anni è giunto il momento di farmi da parte. Ringrazio la Fortitudo ed il Bollate per quello che mi hanno dato in tutti questi miei anni di carriera.
Il tuo ruolo nello staff tecnico dell’UnipolSai Fortitudo lo ha rilevato Fabio Betto. Cose ne pensi come scelta da parte della dirigenza bolognese?
Meglio di cosi non si poteva prendere, Fabio è uno che conosce il baseball, conosce i pitcher, è stato un lanciatore e conosce la Fortitudo. Sta facendo il mio stesso percorso, è arrivato da giocatore a Bologna, si è calato nella realtà fortitudina ed è, come me, diventato un bolognese acquisito. Io sono milanese ma oramai questa città mi è entrata dentro e cosi è stato anche per lui. Fabio è un uomo Fortitudo al 100% e sono sicuro che la scelta è perfetta.
La scorsa stagione è entrata nella storia della Fortitudo Bologna in quanto per la prima volta siete riusciti a vincere Scudetto e Coppa Campioni. Ti aspettavi un’annata del genere lo scorso inverno?
E’ stata anche la stagione del back to back che è accaduto per la prima volta nella storia della Fortitudo. La società ti mette a disposizione sempre degli ottimi giocatori, poi sta sempre allo staff tecnico saperli gestirli, saper valutare le situazioni di difficoltà, non rilassarsi quando si hanno strisce di vittorie. Abbiamo capito che avevamo comunque un grande monte, Mura non ha sbagliato nessun acquisto, siamo stati bravi, nonostante la vittoria della Coppa dei Campioni: strepitosa dal monte, alla difesa ai battitori, tutti veramente bravissimi, a capire che ci mancava qualcosa per ambire al titolo italiano e poter terminare al massimo la stagione. Grazie ad un paio di acquisti, tipo Paz che ci ha dato tantissimo dietro al piatto, alleggerendo il lavoro di Marval che è cosi tornato ad essere il battitore che tutti conoscevamo, siamo riusciti ad arrivare pronti ai playoff ed a fare nostro il titolo italiano. Nonostante tutto la Fortitudo all’inizio di ogni stagione parte sempre per vincere tutto, poi tra il dire ed il fare è tutta una altra cosa.
Come è stato gestire il bullpen felsineo in questa trionfale annata?
I lanciatori della squadra sono tutti talmente professionali che mi hanno agevolato il compito, poche lamentele e pronti per il momento clou della stagione, ovvero i playoff.
Nella tua lunga e vittoriosa carriera da pitching coach quali sono stati i momenti più significativi, più importanti, più emozionanti che ricordi con più gioia?
Sicuramente il primo Scudetto, nel 2003, dopo quasi 20 anni dall’ultimo del 1984. La Coppa dei Campioni di Barcellona 2010, anch’essa mancava da parecchio tempo nella bacheca della Fortitudo. Diciamo che ripercorriamo questi miei 20 anni da allenatore partendo da Mazzotti, passando per Nanni e terminando con la storica stagione di quest’anno, che ha coronato la mia carriera da pitching coach, con Frignani. Ovviamente non meno importanti, o emozionanti, le tante vittorie tra questi tre step, come ad esempio la vittoria a Nettuno, all’ultimo inning con il walk off di De Donno davanti a 6000 spettatori nella Finale della Coppa Campioni 2012, oppure lo scudetto della Stella.
Negli anni hai allenato tantissimi lanciatori, chi ti ha sorpreso per il proprio talento e chi, invece, è quello che lavorando sodo è riuscito ad avere la maggior crescita?
Dico Fabio Betto perché l’ho visto giocare a Parma e vivere di potenza, giovane forte atleticamente e fisicamente. Arrivato a Bologna era ancora forte, ma l’infortunio che ha subito gli ha fatto cambiare il modo di lanciare. Molti altri lanciatori avrebbero appeso il guanto al chiodo oppure non sarebbero stati più in grado di affrontare le mazze del campionato italiano, lui con un’intelligenza fuori dal normale è riuscito a trasformarsi ed è riuscito a diventare uno dei migliori lanciatori italiani nonostante fosse calato di velocità. Sicuramente è stata una cosa che mi ha impressionato molto. Altre due persone da citare non possono essere che Matos e Rivero, due personaggi simili come carattere, schivi, chiusi ma sempre vincenti e con una mentalità da professionisti.
Hai avuto la fortuna di allenare sia Jesus Matos che Raul Rivero. Come è stato lavorare insieme a loro?
Il lavoro con loro, essendo giocatori con esperienze importanti alle spalle, era sopratutto mentale per farli approcciare e fargli capire il campionato italiano, cercare sempre di fargli capire che il braccio andava usato nel modo corretto e non come una macchina che deve soltanto lanciare. Dopo un paio di anni che Rivero ero arrivato in Italia gli dissi che sarebbe diventato il nuovo Matos e posso dire di averci preso. Aneddoti ce ne sono pochi dato che erano ambedue schivi e riservati, una cosa che mi viene in mente è che Matos al suo arrivo riusci a legare subito con il gruppo degli italiani mentre Raul ci mise un po' di più legando invece subito con quello degli stranieri.
Sono quasi 40 anni che vesti la casacca della Fortitudo, prima come giocatore e dopo come allenatore, come è cambiato la società in questi anni?
Io sono arrivato a Bologna nel 1980, potevo andare a Parma, Torino o Milano, ma ho scelto Bologna perché sapevo che la Fortitudo era una società molto umana ed era la scelta giusta per me. Era una squadra che durava nel tempo, perché sempre comandata da gente con la testa che guardava si al presente ma anche al futuro per evitare, come invece capita sempre più spesso al giorno d’oggi, di ripartire da zero l’anno successivo o dover addirittura abbandonare. Pensiero utilissimo, sopratutto nel momento in cui siamo ripartiti dalla A2, che ci ha permesso di ritornare presto nella massima serie e tornare nel minor tempo possibile competitivi ai massimi livelli nonostante il difficile momento passato. In questi anni la Fortitudo è ovviamente cambiata tanto, come è cambiato il baseball italiano, ma non è cambiata la mentalità dirigenziale, ed è grazie proprio a questa mentalità che è diventata, dagli anni 2000 ad oggi, una delle squadre più titolate degli ultimi 20 anni, se non addirittura la più titolata del campionato italiano.
Ultima domanda, lasciato il ruolo di pitching coach cosa farà Radaelli adesso?
Dopo aver parlato con Frignani e Mura so che di braccia per tirare il batting practice ce ne è sempre bisogno, per fortuna il mio è ancora integro e se avranno bisogno potrò dare il mio apporto. Altrimenti Radaelli lavorerà, sarà una persona normale, andrà a vedere la Fortitudo e girerà nei campi delle serie minori, come più o meno ho sempre fatto, per vedere qualche partita.
di Mirco Monda
La foto è di Lorenzo Bellocchio - Fortitudo Basebal.com