PHILADELPHIA PHILLIES, CHE SORPRESA!
E’ un buon inizio di stagione quello dei Philadelphia Phillies, anzi piu’ che buono, all’indomani dello sweep (serie conquistata vincendo tutte le partite) inflitto ai Nationals in quel di Washington, un evento che non accadeva dal 2009. Con 12 vittorie e 10 sconfitte, il record torna infatti a essere positivo (fatta salva la prima settimana di regular season) per la prima volta dopo quasi due anni: era infatti dal maggio del 2014 che i Phillies non erano sopra quota .500.
Nella National League East, sulla lunga distanza Nats e New York Mets appaiono meglio attrezzate, soprattutto per quanto riguarda la fase d’attacco anche se, da quando Herrera è diventato il leadoff hitter, le cose sono migliorate. E di molto. Philadelphia ne ha infatti vinte 6 su 7 con Odubel primo battitore del lineup, a una media di circa 5 punti a partita. Nella prima parte di stagione invece, con i vari Galvis, Cesar Hernandez e Burriss al suo posto, i Phillies avevano racimolato 6 vittorie in 15 match, con una misera media di circa 2,5 runs a partita.
Va quindi giudicato positivamente l’impatto che sta avendo il manager di Philadelphia, Pete Mackanin, non fermo sulle proprie posizioni di inizio aprile nel tentativo di stimolare la resa del proprio attacco. Anche con mosse discutibili, come quella di mettere il pitcher al numero 8 della lineup.
Questione annosa, questa, nel baseball, con Guelfi e Ghibellini che si contrappongono e sempre si contrapporranno sulla sua opportunità. Ma, tant’è, i Phillies, dopo un altalenante inizio, hanno incominciato a macinare gioco, punti e vittorie.
Gran merito va attribuito ai lanciatori partenti: se Aaron Nola sembra a tutti un novello Cliff Lee (strikeout a raffica e poche basi ball concesse), se Mackanin stesso ammette che sì, Velasquez gli ricorda un po’ Roy Halladay, beh, tra le nuvole sparse sull’universo Phillies dalla rifondazione, (più di) qualche raggio di sole comincia a filtrare.
di Andrea Comotti
Nella foto, la festa dei Phillies dopo il successo arrivato ai supplementari contro i Mets (Hunter Martin - Fox Sports).
Nella National League East, sulla lunga distanza Nats e New York Mets appaiono meglio attrezzate, soprattutto per quanto riguarda la fase d’attacco anche se, da quando Herrera è diventato il leadoff hitter, le cose sono migliorate. E di molto. Philadelphia ne ha infatti vinte 6 su 7 con Odubel primo battitore del lineup, a una media di circa 5 punti a partita. Nella prima parte di stagione invece, con i vari Galvis, Cesar Hernandez e Burriss al suo posto, i Phillies avevano racimolato 6 vittorie in 15 match, con una misera media di circa 2,5 runs a partita.
Va quindi giudicato positivamente l’impatto che sta avendo il manager di Philadelphia, Pete Mackanin, non fermo sulle proprie posizioni di inizio aprile nel tentativo di stimolare la resa del proprio attacco. Anche con mosse discutibili, come quella di mettere il pitcher al numero 8 della lineup.
Questione annosa, questa, nel baseball, con Guelfi e Ghibellini che si contrappongono e sempre si contrapporranno sulla sua opportunità. Ma, tant’è, i Phillies, dopo un altalenante inizio, hanno incominciato a macinare gioco, punti e vittorie.
Gran merito va attribuito ai lanciatori partenti: se Aaron Nola sembra a tutti un novello Cliff Lee (strikeout a raffica e poche basi ball concesse), se Mackanin stesso ammette che sì, Velasquez gli ricorda un po’ Roy Halladay, beh, tra le nuvole sparse sull’universo Phillies dalla rifondazione, (più di) qualche raggio di sole comincia a filtrare.
di Andrea Comotti
Nella foto, la festa dei Phillies dopo il successo arrivato ai supplementari contro i Mets (Hunter Martin - Fox Sports).